BATELEUR

Dopo alcuni giorni di inattività bellica, un avvenimento di eccezionali proporzioni viene a interrompere la piacevole monotonia del deserto che sembra duri da un secolo, benché già da lungo tempo abbiamo abituato il grugno. Riceviamo l’ordine di approntare alcuni aerei della mia squadriglia per cooperare con altri reparti dello stormo a una nuova azione offensiva su obiettivi nemici.
Sono alla mia trentesima azione di guerra. Poco prima che il mio veicolo venga messo in moto, colto da uno strano presentimento, sostengo una discussione con l’armiere a cui è affidata la manutenzione della mia fedelissima mitragliatrice superiore e finalmente riesco a persuaderlo con l’aiuto del motorista, che è vecchio compagno di volo.   Infatti, ora il fungo è svitabile e in caso fosse necessario lo si potrebbe eliminare subito.
Nella tarda mattinata gli aeroplani prestabiliti per l’azione cominciano a decollare. Il mio velivolo prende a capo il colonnello pilota, il maggiore secondo pilota, il sottotenente puntatore e gli avieri: il marconista e l’armiere. Termino di mangiare un pezzettino di pane che già avevo cominciato a sgranocchiare, un sorsino di anice e poi cuffia in testa e al lavoro.

   Quasi subito prendiamo contatto con le due formazioni di cinque aerei a cui noi da undicesimi ci teniamo questa volta estranei e ho l’impressione che il comandante dello stormo voglia gustare da libero isolato lo spettacolo offensivo dei suoi valorosi equipaggi.
Voliamo già da diversi minuti in territorio nemico ed io come mia abitudine sono in piedi sul seggiolino, pronto alla mitragliatrice a sventare possibili sorprese della caccia nemica, tenendo anche il ricevitore sintonizzato e le cuffie premute sulle orecchie per eventuali chiamate; ad un tratto una corrente d’aria ricca di polvere mi fa abbassare rapidamente gli occhiali e portare la mano inguantata sulla bocca, sono stati aperti senza preavviso gli sportelloni delle bombe. Viriamo leggermente a Nord, subito le prime “caramelle” precipitano dal nostro aereo e dalle formazioni che teniamo a un centinaio di metri. Mi piego sui cestelli vuoti per controllare il tiro e l’effetto degli ordigni.
Partono a brevi intervalli, s’avventano con veemenza, poi dispaiono alla vista per alcuni secondi finché rapide fiammate e globi di fumo nerissimo coprono sul suolo desertico dei punti scuri sparsi, ovvero aeroplani decentrati sul campo di manovra nemico e loro base logistica.

   Gusto per qualche minuto questo ricamo di bombe che via-via eseguiamo nel deserto, poi, guardando verso prua, la costa diventa spiaggia dove il mare, con l’alta marea, penetra e ritraendosi incesella tanta acqua da formare un lago.
Lentamente cominciamo a virare per colpire l’ultimo obiettivo. L’ufficiale puntatore sgancia gli ultimi bambinelli cercando di colpire un treno in marcia, quando, alzando la testa, mi accorgo che un folto numero di caccia nemici ci assale da tutte le parti con violente e rabbiose raffiche delle loro mitragliatrici. Uno frontalmente infiora di pallottole la parte esterna destra della cabina di pilotaggio, vicinissimo al secondo pilota. Un altro ci aggredisce dal disotto con una serie di raffiche e poi si allontana. Tolgo la sicura alla mia Breda; faccio appena in tempo ad accogliere un caccia che si stabilisce in coda a non più di cinquanta metri mitragliandoci a tutto spiano; da questo momento non vedo altro che il mio diretto avversario. 
Fra poco la sorte deciderà.


°°°

   Il nemico è maledettamente abile e sistematosi nei punti morti di coda del nostro velivolo non si lascia colpire.   Ogni volta che tende a scoprirsi, lo inchiodo nel suo motore, ma si avvantaggia della nostra scia bucherellandoci senza pietà. Per questa situazione sono preoccupatissimo; il nostro aereo può incendiarsi da un istante all’altro.
Ma non oso distrarmi un secondo dalle mosse del nemico, prontissimo a sfruttarne ogni movimento. Il motorista mi corre vicino, vorrebbe fare qualcosa. Io guardo un istante  — Il fungo del brandeggio! — gli urlo continuando a lanciare brevi raffiche contro il rivale mentre il motorista stende il braccio destro e con pochi colpi di mano fa saltare il fungo. Ora sì, caro cacciatore, possiamo guardarci bene in faccia! noi o tu?
Dirigo la canna della mitragliatrice fra i timoni di coda e faccio al cavaliere l’omaggio di alcune sequenze inattese e ben aggiustate. Ne constato subito l’effetto poiché il nemico cambia tattica immediatamente e si rifugia lateralmente un po’ in alto alla mia destra. Egli ha veramente studiato l’armamento dei nostri aeroplani con cura ammirevole, non è un pivello; le sue astute manovre ravvicinate rivelano ch’è una vecchia volpe. Si rifugia dove non posso offenderlo, il brandeggio dell’arma me lo vieta; neanche lui può sparare bene in quella condizione.

   Contemporaneamente tutte le armi di bordo sparano ininterrottamente contro gli altri velivoli nemici che entrano nel loro tiro.
Il nostro fedele cacciabombardiere, benché ferito molto seriamente, continua a filare meravigliosamente, appena in picchiata, vibrando nervosamente come un gigante infuriato per il violento crepitare di tutto l'armamentario.
Dopo qualche istante d’indugio, il pilota che ci segue accanito, decide di eliminarmi e infatti non gli sarebbe difficile se avesse più mira, dato che sono completamente col busto scoperto, visibilissimo. Ora scivola leggermente d’ala dal punto laterale più alto con l’evidente intento di tagliarmi in due con la sua raffica a sega. Questo tentativo lo ripete diverse volte e io lo precedo nei suoi movimenti con la mia Breda che sembra torcersi come una serpe, fino a incepparsi. Mi dico: Calma.
Con le mani ghiacciate la riarmo e sparo subito.
Il lupo ora si mostra indeciso, forse è ferito.
Mi riesce di inquadrarlo perfettamente mentre scivola d’ala dall’alto e di tenerlo con una lunga sequenza di colpi, folgorandolo. Immediatamente il caccia s’impenna e subito affonda a coltello, imbarcando.                   Lo seguo coll’occhio finché sono certo che non è una manovra;
Il disgraziato precipita irrimediabilmente, nessuno di noi vede staccarsi il paracadute dall’aereo che continua a precipitare fino a perderlo di vista.
Non vedo altri aerei da caccia nemici; ora è solo la contraerea che al nostro passaggio, ormai lontani, ci tira delle granate.

°°°

   Dopo la battaglia le nostre formazioni non sono più compatte ed alcuni aeroplani gravemente colpiti planano per effettuare atterraggi di fortuna nelle nostre prime linee.
Do uno sguardo di venerazione alla mia brava mitragliatrice e noto che avrei avuto da sparare ancora una ventina di colpi prima di cambiare il nastro, dimentico per un momento la gerarchia e scuoto leggermente il colonnello a una spalla facendogli segni di esultanza. È anche lui lietissimo e mi risponde con gesti di assenso: è la prima volta che vedo ridere quest’uomo austero. Ma la festa non è completa fino a che non vediamo spuntare dal corridoio gli altri compagni che durante tutto il combattimento sono rimasti in coda con l’ufficiale puntatore. Vedendo quest'ultimo strisciare sul fondo della carlinga, comprendo subito che è ferito e l’aiuto a salire in torretta. Mi indica la sua gamba destra. Immediatamente con il motorista gliela scopriamo: un foro di pallottola sopra il malleolo e un altro di pallottola esplosiva nella coscia con molte piccole ferite di schegge.
Laviamo le ferite con tutto il materiale disinfettante della cassetta sanitaria, ma essendo insufficiente, adattiamo a disinfettante una bottiglietta di anice puro che abbiamo
portato per rifocillarci in alta quota, poi fasciamo tutta la gamba.
Il colonnello fa chiedere al ferito se dobbiamo atterrare, ma lui prega di proseguire.

   Atterriamo alla nostra base. Troviamo già pronta in linea di volo  l’autoambulanza che avevo richiesto via radio con messaggio cifrato, dopo aver lanciato al comando di divisione aerea anche l’esito della missione di guerra.
Dopo aver sbarcato il ferito e mandato l’armiere a medicarsi alcune piccole ferite di schegge di pallottole esplosive, do un’occhiata al nostro bravissimo aeroplano.         Centinaia di proiettili incassati nei piani di coda, nelle ali, nella fusoliera, nelle ruote ed infine nei serbatoi, da dove  la benzina fluiva durante il rientro, preziosa e terribile trasformata dalla velocità in una in una fittissima e fine pioggerella. Non ha proprio voluto incendiarsi o cedere ed offrire all’occhio nemico il piacere di un tragico spettacolo. Ma poverino, forse non potrà ancora staccarsi da terra, coi suoi alti voli rimanere in stallo sull’aria, come un' aquila.

(Gene Umorale)



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