il lavoro minuscolo
di Gene Umorale
Il casale dei misteri è ben posizionato
all’incrocio tra le due strade.
Una
esse in salita è la rampa che immette sulla Tuscolana nel punto dove anticamente
si incrociavano quattro acquedotti e c’era un guado. Dove scorreva l’acqua ora
corrono i treni. L’altra torna dritta al centro del Quadraro.
Sul
muretto del palazzo di Salsiccia ci raccontiamo per sentito dire… e di vero c’è,
che davvero nel casale abitava un licantropo. Una brava persona che di sera
strappava i biglietti all’ ingresso del cinema Bristol o anche al folgore, entrambi gestiti dallo stesso
personale. Il folgore era uno dei cinema ‘pidocchietto’
di Roma. Di terza visione, con l’ incalzare della televisione fu chiuso, poi
Storaro l’ha usato come teatro di posa per realizzare alcune parti de l’ Orlando furioso, infine divenne tipografia,
e ora c’è la chiesa coreana.
‘St’ idrofobo nelle notti di luna,
specialmente estive, andava in giro rosso in volto con gli occhi scintillanti e
trafelato con le viscere in fiamme l’avevano visto strapparsi la camicia dopo
aver allentato la cravatta e abbeveratosi alle fontanelle, andare via appagato
come un cane bastonato. Forse con l’acqua si riprendeva in senno e spariva aggiustandosi
il vestito lacero, timido e ricomposto dal buio e poi nascosto dal casale.
L’ultimo
T1 di mezzanotte, con le sue luci accese il bus fermo al capolinea segnava la
fine della giornata assieme all’uscita dall’ultimo spettacolo con chi rincasava
dall’osteria di Tullio, oppure Ramponcino e qualcuno poco di buono, che accorto
preparava il colpo nella borgata diventata un covo. Certi punti bui li passavo di corsa con un
occhio alle spalle e l’altro pronto a sbirciare dietro l’angolo, ma solo per un
attimo perché fino a tardi c’erano in giro persone conosciute.
Comunque
per uno come me, iniziato all’Osteria in tenerissima età, non è stato un
problema liberarsi, salvarsi dai pericoli della strada. Questo posto può essere
sconcertante per chi non è educato a pagare con l’eleganza:
una
parola fuori posto a volte costa un pajo di denti.
Tutte le strade confluivano nell’ hosteria,
e mio padre ci stava dentro benone, come un re! Al tavolino con gli amici, con
le carte da gioco in mano sprofondato in un buco appena visibile dall’entrata
del locale per quanto fumo di sigaretta produceva, e ce n’erano di fumatori
incalliti! Voglio dirvi, che se c’è davvero la necessità di raccontare di
ridisegnare alla vostra immaginazione questa storia, questa è anche un
epitaffio di una parte di umanità che giorno dopo giorno veniva ridotta ai
margini, costretta in porzioni di territorio sempre più piccole. La modernità
comportava per questi individui l’impossibilità di controllare gli eventi,
ovvero avevano come unico strumento le mani, la forza fisica e sono stati
sfruttati come una qualsiasi risorsa materiale.
Nelle Osterie non ci si sente mai soli.
Il
vino conforta l’animo, migliora l’umore. Era naturale entrarci e sostarci e
star meglio. Dentro c’era l’odore della Terra, del cucinato, la giusta umidità
mista a sudore. Un humus portato addosso dagli avventori. Grazie a
quell’ambiente e al vino, c’era amicizia tra chi si diceva comunista e il
fascista, democristo, socialista o repubblicano. La maggior parte di loro,
ciascuna di quelle facce lavorate con la creta, era a suo modo un anarchico. La
quotidianità si condivideva mantenendo integro il nucleo fondante di se stessi
e la capacità di raccontarsi senza paura di infamare la propria cultura. Così
la mia generazione, sorretta dalle ideologie e dalle idee, stava insieme. Parlavamo
dei libri che leggevamo e dei sogni. La modernità con la sua angoscia di non
poter controllare gli eventi, in un certo senso si fermava a Porta Furba.
Non
voglio farla troppo lunga.
Pino aveva un amico, aveva, perché Pino è
morto affogato davanti alla costa di Anzio travolto dall’onda provocata da un
traghetto, che ha rovesciato il suo gommone mentre era intento a stendere un
tramaglio. Era notte, era da solo. Forse si è impicciato alla rete, di fatto,
fu ritrovato dopo qualche giorno spiaggiato. Gianni conduceva un’attività
commerciale di rivendita di carta nell’ex osteria ‘ai Quattro Venti’ a Via Cincinnato, un fabbricato a forma di
casermone lungo una trentina di metri e largo una decina con un bel cortile
pergolato fronte strada, che ai tempi d’oro d’Estate si riempiva di sani
bevitori di vino, che rimanevano saldati ai tavolini per intere giornate. Una
piccola parte della struttura in fondo al cortile era inutilizzata e Gianni si
fidò a darmela per farci un club. Avevo quattordici anni un motorino e le mani
d’oro. Con l’aiuto di Max e Pet, in pochi giorni il club Yessongs era pronto, con le pareti
piene di isole volanti, l’ archaeoptheryx a grandezza naturale subito a destra
entrando e le luci psico, naturalmente autocostruite. Coinvolgemmo mano a mano
tutti quelli della nostra età presenti in zona e il tesoro di vinile arrivò a cinquecento pezzi tra Lp e 45 giri.
Giorno dopo giorno aumentavamo di numero, si unirono a noi tutti i ragazzi e le
ragazze dei dintorni. Il concerto di Lucio
Dalla al Monte del Grano, (che in realtà non è una collina naturale, ma un
sepolcro del III sec. il mausoleo di Alessandro Severo spogliato dei sui marmi
di rivestimento nel medioevo e ricoperto con la terra.) fu l’occasione per
conoscere anche quelli dei quartieri
limitrofi, cosicché il casino fu talmente abnormal
ai Quattro Venti che ci cacciarono via.
Ci
riversammo nella laterale Via Cerere sia perché ci abitavano diversi di noi e
sia perché è una strada interna solo residenziale dotata di ampio giardino e diversi
cortili aperti sulla via. Diventammo una centuria: il Gruppo Quadraro.
Arrivava
gente da tutte le parti di Roma; non ci si annoiava mai. C’erano del
Quadraretto, Cecafumo, le Vigne, Torpigna, la Certosa , Pigneto, Villa Gordiani,
don Bosco. Poi arrivarono anche dall’EUR, Alberone, Farnesina, Trastevere, Aurelio,
Ciampino e dai paesi vicino Roma. Alla fine nel ’77, la fascia d’età era
compresa tra i 14 e i 25 anni, ma la cosa strana fu che gli abitanti del Quadraro
non si può dire che ci tollerarono, piuttosto ci sopportarono in quanto figli,
nipoti, amici, ragazzi che già da bambini in questo posto ‘quadrato’ avevano passato le giornate sotto i loro occhi. Diventammo
così tanti che battevamo costantemente un territorio compreso, tra Via Cerere e
i giardini del Monte del Grano fino al bar di Carfagna in Largo dei Quintili.
Vivevamo come una tribù, dormendo all’aperto e facevamo il fuoco senza pensarci
due volte, mettendo in comune tutto ciò che avevamo. Erano gli anni dei
decreti-delegati, seguiti dai referendum sull’aborto, il divorzio, culminati
con Brescia, l’ Italicus, e il rapimento Moro.
Venivano da noi perché la nostra zona era
fuori dal tempo con le sue casette a un piano, rimasta magicamente estranea al
traffico della Tuscolana e lontana da quello della Casilina.
Parlavamo
di politica e avevamo idea di dimenticare. Eravamo sicuri che la strada non
avendo un limite ci dava la misura della libertà… Purtroppo quando qualcuno
all’ università comincia a teorizzare ‘la violenza necessaria’, nel vulnus della
cosiddetta Autonomia Operaia confluirono molti delinquenti comuni con numerosi
infiltrati al seguito, le droghe e altri motivi aprirono la galera a innocenti
e incoscienti che si rovinarono per sempre. Fummo incapaci di riconquistare la
fiducia della gente già dai primi errori, fin dalle prime ingenuità.
Invece
di essere pacifici e continuare a sciamare operosi, scoprimmo il fianco alla
vigliaccheria borghese e i criminali secolari architettarono una serie di azioni
che ci hanno annichilito. Qualunque rivoluzione deve fare i conti con elementi
residuali e perversioni, che agiscono in malafede.
leconte editore

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