Camere d'aria



     In realtà ho pensieri sconclusionati, pieni di eritemi come la mia pelle, provocati dalla parte tossica del mio guarire, che sbocca da tutte le parti e chissà se non mi lascerà toccato di cervello; per sottrarmi al dolore delle folgorazioni evado dal mio corpo che è solo l’involucro del mio malessere. Ho già  perso tutto da tempo, e molto devo fare per non subire la chemioterapia come la suprema punizione al fallimento. Ho voglia di nascondermi, avvolto dalla febbre e giorno dopo giorno mi rendo conto che morire non è poi così diverso dal non poter alzarsi dal letto.
I volti sorridenti dei cari amici morti di aids, di overdose, d’incidenti d’auto e moto, di infarto, di notte sbucano dal materasso di sabbia come a dire: Chi ti credi d’essere tu?


     Ho avuto grande considerazione della pazzia, ma poi si sa, quando alla cassa ci vai sempre tu cominci a pensare che la vita è troppo importante per perderla facendo cazzate, per 'passare a miglior vita' prima del tempo. A parte la curiosità mista alla paura, di questo incosciente provare, lo sprone ad andare avanti in questo Mondo pieno di automi.
Non ricordo dove, ho letto di un certo bilancio delle anime; Sembra che c’è un certo numero di anime, un potenziale a disposizione e oltre un tot l’umanità viene configurata, senza un’anima. Un’etica diversa, sembra, comunque grazie all'anima degli altri, avere un’idea;
Mi venne in mente e teorizzai sull'energia, sul pianeta, che è il supporto fisico del manifesto, ma non avrei mai pensato di dover pagare il giusto salario anche solo per osservare.
È stata una scarica di corrente industriale. Per un attimo ho visto il barbone bianco, che mi porgeva una mano. E invece è arrivata un’ ambulanza per portarmi all'ospedale.




     Ero lì, lì nel punto ics della staccata, Grande Madre!
La strada ha scoreggiato merda proprio lì. Giaccio pancia all'aria: grandemadre credi che rientrerò stanotte? Sento un sasso nella schiena, sono sdraiato su una scarpata dissestata, dopo aver saggiato un paletto già piegato da qualcun altro, penserò dopo a cosa poteva succedermi. La moto s’è impennata davanti a me dopo aver grattugiato la carena sull'asfalto unto e umido. Atterra col codino la sento sconocchiare dentro la cunetta, mentre spalanco gli occhi verso il cielo.

     Certe volte la commozione è niente al confronto con la vita che stai perdendo. 

Ho appena ascoltato tutto un ragionamento sul senso della vita. Sono già tre ore steso su una barella e urlo mentre all'interno del pronto soccorso si fa politica, si mina la struttura che ci accoglie.
La dottoressa, quasi inveisce verso di me, sembra uscire come una fiera dalla porta, che va e viene. Io sto steso col collare al collo e minaccio tutti a voce alta mentre un vecchio sottolinea le frasi intercalando una serie di proverbi italici, magari in gioventù è stato un cecchino durante i casini d’Africa. Ho, in questo caso dei veri pregiudizi sulla base di momenti; sensazioni senza elementi.  
Mi viene in mente che ho passato attimi di beatitudine e ho ascoltato molte persone, ma ora, cazzo! portatemi a fare le lastre! Lo so che non muoio, se non son morto sino adesso... anche solo mo- menti felici nell'arco della giornata, mi hanno convinto con le loro piccole corrispondenze di rima- nere a riflettere su cose che non funzionano e la penso in un certo modo, ma fate qualcosa per me!
Ripasso il verbale:
alla prima curva pericolosa sono volato per aria dopo aver attraversato la carreggiata, strusciando coi piedi in avanti stretto come in un tubo, evitando per poco una panda che terrorizzata mi veniva incontro. Salgo sull'ambulanza, che arriva la municipale, declino le mie generalità e vengo portato a sirene spiegate al Policlinico Casilino.
Forse ho una spalla rotta. Un ginocchio sanguina attraverso i jeans strappati. I guanti m’hanno salvato le mani, anche se una ha un’abrasione, la vedo dentro il guanto lacerato. L’infermiera dal canto suo si è assicurata che non ho perso coscienza, m’infila un collare: che bravata! Al solito, un pazzo scatenato! M’ha detto l’uomo con la lunga barba bianca alla guida dell’ambulanza.

     La moto  non si può trascurare, neanche un attimo, è come il tuo naso. Come una donna molto fica, ha bisogno di manutenzione continua, per non tradirti. Cavalcare una supersport con in corpo un cocktail di medicine è da pazzi, appunto. Prima ti devi curare, perché è difficile tenere a bada i mostri che dimorano dentro di te e che a cavallo della belva si glorificano; Devi curarla integralmente, accertarti che i requisiti siano efficienti, e il tuo fisico deve essere performante; Sulla terra non c’è cosa o animale più veloce di cui un uomo può disporre, e non ci s’improvvisa rider senza esperienza.
A undici anni, durante le vacanze estive, lavorai in un’officina meccanica. A quei tempi i motori delle automobili si rifacevano più di ora. C’era il mito Abarth e si vedevano in giro veicoli bizzarri realizzati martellando la lamiera per intere giornate. La modifica di un mezzo che avrebbe comunque camminato chissà quanto, era inevitabile data la scarsa dotazione, perciò erano arricchiti di strumentazione e quant’altro fino all’esasperante intervento dei carrozzieri e dei meccanici.
Oggi non si è in grado nemmeno di riflettere su certe cose, al più si riesce a comprarle bell’e fatte, le cose.  
Allora, tornavo a casa, dopo aver raccolto le chiavi, spaccata, piana o a stella, mezza spaccata, a brucola, a ti, a tamburo, a crick, dinamometrica, ecc. ecc., e gli attrezzi in giro per l’officina, usati per smontare o rimontare la meccanica delle vetture. Ripulivo tutto con uno straccio e rifacevo il banco lasciando i requisiti al loro posto. Si lavorava a mani nude e le mani diventavano nere impiastrate d’olio, e dalle frequenti ferite il rosso del sangue sembrava sgorgare da un posto infernale. Le parti da riutilizzare per comporre il motore venivano immerse in una vasca piena di nafta, dove si spazzolavano con un pennellaccio per rimuovere la morchia composta di fango e olio bruciato ma anche di tutte le porcherie che si raccolgono durante la circolazione del veicolo. Dopo, spruzzate di benzina si passavano al getto d’aria compressa fino ad asciugarle, ma comunque i carburatori mai venivano immersi in quel denso liquido nero e maleodorante: “non t’azzardà; sarebbe come infilà u’asmatico dentro un seminterrato d'a Marranella” diceva Franco con preoccupazione.
M’infilavo sotto le macchine tenute su dai cavalletti anche solo per vedere come erano fatte, sporco come un minatore, rientravo a casa. A volte faceva buio lungo il vialetto, e mi dava coraggio pensare di realizzare già qualcosa visto che le mie mani erano ormai capaci di afferrare le cose, di fare cose. Vi lascio immaginare la disperazione di mia madre appena mi vedeva sulla porta, ora una vera e propria lavatrice umana, una specie di fontana automatica con grandi bagnarole roteanti zeppe di panni.
Era mostruosa torcendo e sbattendo le robe, sotto la pioggia, la neve, a volte spaccava il ghiaccio prima di lavare…. bhè! Non mi ci mandò più, in officina.
     L’anno seguente, lavorai al bar scacco al re sulla Tuscolana, e il successivo con un motorino piantato nel cervello, nel bar alle Fosse Ardeatine davanti alle catacombe di San Callisto. Tutte le mattine un furgoncino ottoecinquanta si fermava davanti al bar, e padre e figlio in tuta blu facevano colazione, e si parlava, di quanto e fico questo o quello, di quanto costa un motorino. Fatto sta che loro avevano un minibike Benelli, senza libretto però, non era importante, dissero. Ma quanto volete, chiesi. Sessantamilalire. Me lo scaricarono davanti al bar in una bella mattina di luglio verso le dieci. Continuai il lavoro teorizzando sui comandi alla sinistra del manubrio, il cambio, la frizione, il folle. La prima prova fu devastante. Appena rilasciai la leva della frizione m’arrampicai sul juke-box, e con il motorino a tutto gas stavo entrando nel locale attraverso la vetrina piena di bottiglie esposte in bella vista. Alcune persone sedute ai tavolini esterni mi afferrarono, chi per un braccio, chi per la maglietta e chi per la collottola, e il motorino si spense, rimanendo ingrifato sul juke-box che riprendeva dopo lo scossone: attuateking, attuateking, dombaghi…na,na,na,na,

     Insomma, con questo caspita di motorino ciò girato un bel po’. Fino a quando un bel giorno quel giuggiolone di Stefano, a palla lungo una discesa è passato dalla terza alla prima marcia, facendosi esplodere il motore tra le gambe.
Io l’aspettavo come un babbeo all'incrocio col ponte. L’aperto come ‘na cozza! Dice Filippo, correndo durante quel tramonto nel punto dove la fiammata stava col boato.
Nel giro di pochi giorni rimediai una forcella e un motore Minarelli che smontai da un Omer da cross, e in quattro e quattrotto portai tutto sulla terrazza di casa, al primo piano. Quella notte contai le maglie della catena: Quante ne servivano per portare il moto alla ruota del togodroid?
     Durante il biennio stavo a Villa Aldobrandini, in cima alla salita per il Tuscolo. Dalla piazza panoramica di Frascati si vede, maestosa col suo tappeto fatto di chiome d’albero  steso fino a giù.  Dopo aver percorso quasi una parete verticale lastricata di sampietrini, d’inverno impannati di neve o vetrificati dal ghiaccio, come un incursore dotato di eskimo d’ordinanza raggiungevo una delle sedi del Fermi ricavata dalle stalle della villa. Da Roma spandevo rumore e puzza d’olio bruciato. Passavo alla fermata delle corriere sotto casa dello Squalo, che a quell'ora il norcino aveva già decorato l’ingresso della bottega con dei maiali squartati a scolare sangue su un po’ di segatura, mentre il Zeppieri faceva il suo servizio stracarico di casino fino all'inverosimile, e mi caricavo qualcuno dietro, al quale accollavo i miei libri legati con un elastico.

      Mi scuoto dai ricordi tirando fuori il telefono da una tasca laterale del pantalone, con la caduta  lo schermo al quarzo si è incrinato, con gran difficoltà individuo il numero e chiamo l’unico amico che a quell'ora può darmi retta.
Dall'ospedale l’amico Pirandello’ m’ha portato a casa, beffardo. Gran filosofo. Ricordo, cantando M come Milano, partimmo all'imbrunire con la ritmodiesel per Inter/Napoli ai tempi di Maradona. Dopo un pajo de centokilometri d’autostrada scoppia l’anteriore sinistra poco prima di una galleria, meno male che guidavo io. Pirandello s’è svegliato manco tanto  di colpo. Gli faccio aprire il cofano mentre scendo. La ruota è lucchettata con una catena cementata, manco tenera. Gli faccio: aò! la chiave? La chiave non c’è. Allora, visto che mi ero accostato per benino nella corsia d’emergenza, gli dico: fa come cazzo te pare io me metto a dormì. E così feci fino a che fui risvegliato completamente dai rumori dell’officina dopo che nel dormiveglia il lampeggiante del carro attrezzi m’aveva confortato per un po’.

    Mi sono addormentato sul divano. Ho ancora gli occhi chiusi, quando odo dei colpettii. Ah, no, sono dei veri e propri scoppiettii. Apro gli occhi, oddio!
Sono stato rapito dall'uomobianco e m’ha portato sulle nuvole!
La stanza è completamente piena di fumo, dal soffitto alla punta del mio naso, unico riferimento assieme alla fiammata roboante in un punto davanti a me. Faccio, Mink! Come punto alle chiappe mi giro di lato per alzarmi e un po’ ingobbito con la testa eretta  arrivo alla cucina dopo aver urtato una mensola di marmo posta su un muretto e quasi m’incarto a una sedia, chiudo il gas e vado subito a spalancare le finestre. Ancora un po’ e faccio la fine delle patate, che avevo messo sul fornello a lessare, esplose, dopo che tutta l’acqua s’è consumata, e dopo che ho spento il fuoco nell'aria fumosa la pila deformata, dentro ha una vera e propria fusione nucleare, tra il tubero carbonizzato e l’acciaio. My Ciborio?

     Da un momento all'altro le ferite si riducono e il dolore è un lontano ricordo.
Durante il circuito giornaliero compreso nel periodo affrancato dalla visita del medico legale, la pausa caffè al bar dei tribuni. Entrando, Rigatone, alto dietro le auto in sosta mi fa cenno alzando la mano. Ci stringiamo, non ci vediamo mai, e gli racconto dell’ultimo botto, stabiliamo tempi e modi per recuperare la moto dal deposito giudiziario, e portarla nel box di casa sua.
Il deposito sta al quattrocento dell'Anagnina, se non si fa attenzione, bisogna rifare tutto il giro della strada che in quel punto è divisa in due carreggiate separate per senso di marcia dai jersey.
Salendo per Grottaferata il cancello rimane nascosto da un muro perimetrale, ed è pericoloso fermarsi, tornare indietro, datosi la velocità sostenuta dai veicoli in quel tratto extraurbano.
La motocicletta sta tutta scrociata tra una marea di veicoli recuperati in giro per l’area metropolitana, manca della parte destra della carena, il faro e la strumentazione penzolano attaccati, sembra a dei gangli, la marmitta ha un tappo di terra argillosa, e dei ciuffi d’erba si sono incastrati in diverse fessure, e la sella nera è accartocciata come il muso del vil coyote.
Infilo la chiave nel blocchetto d’accensione dopo aver sturato la marmitta. Va subito in moto.
Me la guardo con attenzione: ha il tuning nell'olio! Ho fatto di si con la testa.
Come me ha bisogno di cure, per entrambi c’è la possibilità di continuare, a girare.
Sulla carta a ogni bullone corrisponde un giorno di chemioterapia, a ogni parte modificata si accoppia perfettamente un collasso, un’ischemia. Come ne usciremo, lei dal box e io dalla depressione, non si palesa, non sono in grado di sentire oltre il mio respiro da facocero asmatico braccato dalla morte. Questo patto d’acciaio, e carne, sottoscritto in spirito, mi fa procedere senza esitazione.
Come ho già fatto col ciopperino trentanni fa, taglio, smonto, sostituisco, integro le parti anche con delle saldature, quando serve. Il quattrocilindri appare con tutti i suoi nervi scoperti, tenuto saldo dal telaio a traliccio, ora è su due ruote prive dei parafanghi. Smonto il serbatoio, il box del filtro-aria, scablo l’impianto elettrico, eliminando la carena devo portare la scatola dei fusibili e alcune derivazioni sotto la sella, e il radiatore dell’olio motore, da sotto il faro lo staffo tra il corpo motore e i collettori di scarico. Affronto il lavoro improvvisando, applicando il metro dell’opera incerta. Pensando a Cellini realizzo prima le forme, poi gli stampi e infine le parti in vetroresina, tipo i fianchetti che coprono il telaietto sotto la sella, per dare un po’ di sesto alla linea.
Adesso però, metto su carta i colori dei fili, spiegati come una tela, mi appunto le connessioni e ogni altra cosa per le rifiniture.

     Di giorno in giorno il ripetersi degli stessi movimenti verso le cose indicate dalle parole hanno dato forme fisiche a ciò che era mentale. Aspetto fuori dalla giostra dei pensieri, seduto su una sedia.
La vecchia radio attraverso un filo di rame manda musica che avevo dimenticato.
Recupero l’honda ormai sfranta della mia esistenza ricompongo la forma prima delle parole.
Cosa poteva significare moderno ai popoli di mille e mille anni fa?
Vestita di musica va l’aurora con la sua veste d’aria.
Non so perché vi sto raccontando tutto questo mentre mi accade: sono davvero così solo?
È proprio vero che nella vita ci vuole fortuna! e non è facile imbroccare la combinazione giusta. Bisogna essere sportivi leali nell'attraversare luoghi ostili.
Ci sono posti dove non conoscono la malizia, lasciamoli in pace.

.    “Vedi!  le azioni hanno valore nel momento in cui si compiono. I lavori di copiatura lasciamoli ai frati. La velocità; L’istinto velato di ragionamento; più un seguire l’occhio che pensare.
Da dove viene il coraggio che ci fa sentire vigliacchi al primo ripensamento?
Forse dalla fisicità dell’esserci comunque, costi quel che costi e se ci pare. Oggi però, con questo 'carattere' si rischia di fare male per sciocchezze, a causa di piccole astuzie.
Valorosi di tutti i pianeti disunitevi! Andate in giro fieri, distribuitevi a sazietà. Colmate i vostri e i nostri silenzi di buoni propositi. E io, che il cavallo l’ho sempre avuto, ce l’ho, rinuncerò a prendere l’auto fatto salvo i giorni di vento!
Una sola vita salvata non ha valore se muoiono a migliaia. (vorrei sapere se c’è qualcuno meglio di un altro, o non so cosa…)
È come riparare il buco di una gomma a un’autovettura che ha il motore fuso. E quanta pena ho per ciò che mi è sfuggito di mano, per pigrizia o perché in quel frangente non l’ho ritenuto necessario. Riflettiamo, diamo alla forza la giusta realizzazione, no repeat un’altra volta.
Tutto è inutile se serve una sola volta. La cura che sapremo dare al nostro corpo è garanzia di vita, e già! Ti lascio con un quesito: come vede un neonato non avendo memoria di altre visioni?”

 (pubblicato da Leconte editore su STORIE all write n°65 cose promesse, altre sognate)









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